La matematica che «non doveva esistere»
Era il 1600 e i numeri complessi faticavano a trovare piena accettazione nel mondo matematico: erano i numeri “che non dovevano esistere”. Cartesio li chiamava “numeri immaginari”: non ci si poteva aspettare altro da un razionalista… Insomma figli non riconosciuti dalle menti secentesche, iniziarono ad essere studiati da grandi nomi della storia della matematica: Abraham De Moivre, amico di Newton, Eulero e Gauss. Ma veniamo al loro nome: perché complessi? Prima di tutto risaliamo alla radice, all’etimo della parola: “complesso” deriva dal participio “complexus” del verbo latino “complector” che significa “abbraccio”, “comprendo”, con quel “cum” che si può leggere come stringo tutto assieme, tra le braccia, tento di afferrare tutto e di portarlo con me, cerco di cum-prendere. Abbraccio, comprendo, complesso. In realtà non abbiamo finito: dobbiamo scomodare il greco. La radice del verbo latino “plector” deriva dal greco “πλέκω” (trasl. “pléko”) che a sua volta significa “intreccio, attorco”… la questione si fa complessa! Abbraccio, intreccio, complesso. Qualcosa di attorcigliato, che richiede sforzo per essere dipanato, un groviglio che com-prende tutto.
Se dunque l’origine greca privilegia l’aspetto dell’intreccio, del groviglio, dall’etimo latino viene posto in risalto il senso di abbracciare, del comprendere tutto, la totalità, ed è questo significato che preferiamo.
Pensiamo ai numeri complessi, una parte reale (va bene, questa ci rassicura!) e una parte immaginaria, per la quale non siamo in grado di trovare una collocazione nella nostra mente: si tratta di qualcosa di disordinato (l’insieme \( \mathbb{C}\) è disordinato), ma in ogni caso questa costruzione permette di trovare risposta a problemi insoluti, insomma, una stanza delle necessità per il matematico: è lì che stanno tutte le radici di qualsiasi polinomio, è lì che si trovano le radici quadrate di numeri negativi…
Allora quando si parla propriamente di difficoltà e quando, invece, di complessità? Non vogliamo darvi la risposta immediatamente, forse essa non è nemmeno rilevante quanto la riflessione che la precede e che conduce ad essa. E per iniziarvi alla via della complessa meditazione, vi lasciamo un kōan zen, affinché anche voi troviate la strada in questo percorso labirintico.
È necessario tornare sui propri passi
o si può andare spediti una volta capita la strada?
La difficoltà sta nel capire
la strategia e nel tempo di risoluzione.
(Alessia Alinovi, 2016)
(Articolo di Luca Cantoni)